Mariposa

Maravilla de la naturaleza.

Un bote en el Rio

Desafio al agua.

Un bejuco en la foresta

Creación natural.

Puente en el Rio Nieva

Entre dos riberas.

Puente en Milán

Arquitectura moderna.

lunes, 28 de octubre de 2013

Señor de los Milagros a Milano


Por:  Eleuterio Ruiz
El día de ayer 27 de octubre 2013,  la puerta de la catedral del Duomo de Milán (la obra más importante de la arquitectura gotica en Italia, dedicada a Maria Naciente),  se abrio  recibiendo  a  miles de peruanos y latinoamericanos para participar de la santa misa, gente con una profunda tradición religiosa de fé en el Señor de los Milagros, es la imagen más representativa del catolicismo de los peruanos en el extranjero, más no la unica, existen otras imagenes presentes en la mente y corazón del peruano inmigrante, que representa su fé desde el punto de vista regional de su procedencia; y asi observamos la Virgen de Chapi de Arequipa, la Virgen de Cocharcas, San Roque y Señor Huanca de Huancayo, Santa Rosa de Lima, etc.
La devoción al Señor de los milagros es una conducta aprendida en Perù, que tiene su origen de la imagen de cristo pintada por un esclavo de orígen angoleña llamado Pedro Dalcón en el año 1651 en la zona de Pachacamilla. “El 13 de noviembre de 1655 a las 14:45 horas, tuvo lugar un terrible terremoto que estremeció Lima y Callao, derrumbándose templos, mansiones y las viviendas más frágiles, ocasionando miles de víctimas mortales y damnificados. El temblor afectó también la zona de Pachacamilla y las viviendas igualmente se derrumbaron. Todas las paredes del local de la cofradía se derrumbaron, produciéndose entonces el milagro: el débil muro de adobe en donde se erguía la imagen de Cristo quedó intacto, sin ningún tipo de resquebrajamiento”(1)
Hoy revive en toda su manifestación cultural, desde su práctica en las ceremonias reliosas en la iglesia, a la tradición  del color morado y los gustos culinarios como el turrón de doña pepa, la mazamorra morada, etc. Estas experiencias vividas acompañan al peruano en todo su proceso migratorio, determinando la busqueda de dar continuidad a sus practicas de fé, y si no lo encuentra,  lo crea y asi tenemos Señores de los Milagros en todas las grandes ciudades  del mundo, donde se encuentran inmigrantes peruanos.
En Milán, es una tradición cultural religiosa del Señor de los Milagros que se celebra con una grande participación masiva el último domingo del mes de octubre (llamado en Perù el mes morado) de todos los años, con algunas diferencias de organización de la misa y procesión. Este año se ha realizado la misa en la catedral del Duomo de Milán, y la procesión, de la plaza del Duomo a la Iglesia de Santo Stefano.
El simbolismo religioso se manifiesta original como en Perù,  la imagen, la procesión, el color morado de la vestimenta de los cargadores, el inciencio, las saumadoras vestidas de morado y cubiertas con un velo blanco el cabello,  todo esto, no es más que la demostración del acto de fé, que sirve como expresión para mantener y reafirmar la comunidad cristiana más unida.
Es un acto de fé que se mantiene a pesar de vivir en un contexto social diferente,  que gobierna la vida de los más creyentes, sobre todo para soportar los momentos más difíciles de la existencia, hoy más que nunca, se elevan plegarias pidiendo ayuda para superar las dificultades economicas que se vive en Italia.
El Señor de los Milagros es la imagen de cristo crucificado y moribundo, imagen que ayudo a los indigenas en la conquista aceptar el sufrimiento y triste realidad, imagen que acepto pacivamente la cruz de sus verdugos, de esta manera los inmigrantes aceptan con resignación  e impotencia su condición de vida dificil en otros lugares del mundo.
(1)   Vikipedia.org

martes, 8 de octubre de 2013

Memoria passata del personaggio

Avverto l’urgenza di un cambiamento nel teatro e, più specificamente, nel campo della regia teatrale ed è per questo che spero che questo saggio possa essere di aiuto alle generazioni dei nuovi giovani registi. Saranno solo loro a poter cambiare il teatro di domani, visto che quello contemporaneo sembra quasi immobile, privo di una qualsiasi evoluzione nei metodi di lavoro, forse perché ormai adagiatosi sui risultati del primo metodo Stanislavskij, così diffusamente sperimentato. Eppure quello stesso sistema era stato rinnegato da Stanislavskij stesso e con il suo uso della reviviscenza, della memoria affettiva e dell’immaginazione ha danneggiato intere generazioni di attori. Sono pochi i professionisti del mestiere che si fermano a riflettere sulla situazione attuale, pochi sembrano desiderare un metodo nuovo e ciò, immagino, per paura dell’innovazione e, non ultimo, per mancanza di tempo. Sotto molti punti di vista è certamente più comodo servirsi di un metodo già esistente, quel sistema Stanislavskij vecchio di cent’anni, appunto. Grazie a questo immobilismo chiunque ormai sembra potersi cimentare in teatro, tutti sembrano voler recitare sul palcoscenico o davanti alla telecamera. Purtroppo questo ha portato ad avere sale ormai invase spesso solo dalla noia e spettacoli in cartellone molte volte al di sotto della mediocrità. Noi teatranti siamo considerati i «barboni» della cultura, perché siamo in tanti e generalmente senza denaro. Alla stessa forza con cui portiamo avanti faticosamente la nostra passione, dovremmo attingere per trovare il coraggio di dire «basta» a questo stato delle cose. Oggi il teatro manca di vere guide e di veri Maestri ed è per questa ragione che considero mio dovere far conoscere un metodo innovativo per il teatro e, in primis, per i registi. Il metodo, che ho definito «memoria passata del personaggio», è frutto di vent’anni di ricerca e di sperimentazione pratica fatte qui in Italia, poi testate e consolidate anche all’estero. Il metodo può diventare un punto di partenza per i registi che lavorano con gli attori alla costruzione dei personaggi. Il mestiere di regista è relativamente nuovo, ha appena poco più di settant’anni. La regia teatrale, infatti, nasce in Italia negli anni Trenta e rimane a lungo un settore poco esplorato. Per questa ragione i libri sull’argomento sono pochi e le scuole inesistenti. Non esiste in nessuna parte nel mondo una scuola unicamente dedicata alla regia. Tutta la formazione teatrale è destinata all’attore e al suo mestiere, vecchio quanto il teatro greco antico (più di duemila anni). Partendo da questa riflessione vent’anni fa ho iniziato a concentrare la mia attenzione sulla regia e sui registi. Mi sono lasciata guidare da una forza creativa che mi diceva cosa scrivere, come lavorare con gli attori e come collaborare con altri registi. Ricordo che vent’anni fa, quando parlavo di riforma, d’innovazione, la gente di teatro mi guardava con un sorriso di sufficienza. Eppure mai nessuno è ancora riuscito a fermarmi.
Introduzione al metodo


Non si assomigliano per niente le emozioni reali con quelle rese sul palco con l’aiuto della reviviscenza, proprio perché sono soltanto l’imitazione di emozioni vissute nel passato. Il metodo dell’immaginazione e della reviviscenza consiste, infatti, nel ricordarsi un’emozione vissuta in prima persona nel passato e nel riuscire poi a riviverla nel presente e sulla scena. Questo modo di fare teatro può essere molto dannoso per la psiche degli attori e, a lungo andare, la stessa emozione riportata al personaggio non può rigenerarsi a lungo e, dunque, si trasforma in una forma di meccanicità. Darò un esempio concreto, frutto della mia esperienza diretta come interprete del personaggio di Medea: per una scena di pianto di questo personaggio così forte utilizzavo il ricordo della morte di mio padre per provocarmi le lacrime. La scena mi riuscì molto bene per alcune serate ma in seguito non ero più in grado di piangere in quella precisa scena. Nel 2008, in occasione di un incontro di presentazione con una famosa attrice, le chiesi a cosa avesse pensato per interpretare una scena di pianto nel film La vita è bella di Roberto Benigni. Mi rispose di aver rievocato la morte di sua madre. L’attore-personaggio, dunque, che deve commuoversi in corrispondenza di una certa battuta, lo potrà fare per un po’ di giorni, utilizzando la reviviscenza, ma dopo un mese di spettacolo non riuscirà più a far uscire nemmeno una lacrima e tutto si trasformerà in forzatura e poi in meccanicità.
Stanislavskij stesso lo aveva capito, grazie alla sua esperienza personale sulle scene, ma purtroppo, troppo tardi, quando ormai il suo famoso metodo era già consolidato in Russia e negli Stati Uniti. Dico di più, quando Stanislavskij sperimentò sulla propria pelle i danni che reviviscenza e immaginazione potevano causare (ebbe cinque infarti!), decise di ritirarsi dalle scene e di non recitare mai più. La scoperta lo spinse anche a cercare un’alternativa e a concentrarsi poi sulle «azioni fisiche». Il metodo di Stanislavskij trova, al contrario, perfetto utilizzo nel cinema, anzi, è proprio grazie a questo modello recitativo sulla memoria affettiva, che il cinema si è evoluto e ha conosciuto la sua grande fortuna a partire dagli anni ’50. Davanti alla cinepresa, infatti, l’attore può usare, per i quindici o trenta minuti necessari a girare la scena, la reviviscenza evocando e richiamando un sentimento o uno stato d’animo. Egli può piangere, può urlare, può fare una scena di pazzia, può ridere a crepapelle poi, non appena la macchina da presa ha immortalato il momento, ha subito il tempo e il modo di riprendersi dallo sforzo fatto. In teatro ciò è impossibile perché l’attore rimane in scena, davanti al pubblico, per due o tre ore di seguito, e mancano i tempi necessari al recupero dopo le scene più forti.
Un metodo innovativo e rivoluzionario per il teatro contemporaneo

Il mio lavoro di regista è stato sempre focalizzato sull’attore: ho sempre pensato a come poter aiutare e rinforzare l’attore nel lungo processo di studio, lavoro e ricerca necessario alla costruzione del personaggio che gli è stato assegnato. In particolar modo ero interessata a come evitare che l’attore fosse costretto a identificarsi con la vita del suo personaggio e a mischiare il suo privato con quello portato in scena. Sono più di diciassette anni che mi dedico alla ricerca-pratica di nuovi modi di lavoro che aiutino gli attori. Dopo che il metodo è stato provato e messo già in pratica, ho capito che la costruzione della memoria passata del personaggio avrebbe potuto aiutare più i registi che gli attori, in quanto questi ultimi lavorano sempre sotto la guida di un regista. Con questo nuovo procedimento di lavoro viene eliminata la necessità di ricorrere alla reviviscenza e parzialmente all’immaginazione, i due elementi fondamentali, alla base del «sistema Stanislavskij». Il mio metodo fa, invece, una chiara scissione, distingue nettamente tra la vita personale dell’attore e quella del personaggio. Con questa metodologia la vita privata dell’attore non viene mai toccata, né messa in discussione, né evocata o raccontata. All’attore non è mai richiesto di rispondere del suo privato, non gli viene mai imposto di mettersi nei panni del personaggio, né di doversi ricordare un momento della sua esistenza che somigli a una scena dello spettacolo. Con il metodo che propongo, la sfera personale dell’attore viene lasciata fuori dalla hall del teatro e l’attore se la riprende all’uscita dalle prove, quando torna a casa sua, dalla sua vera famiglia. Questo per proteggere l’attore e la sua vita intima, proprio perché sua. Tutto quello che si crea, si costruisce, ai fini dello spettacolo succede esclusivamente all’interno del teatro e nella sala prove.

L'esperienza umana e professionale in Italia
Sono arrivata in Italia l’1 dicembre del 1992, tre anni dopo la caduta del regime comunista nel mio paese, la Romania. Prima del 1989 mi era stato impossibile viaggiare fuori dai confini romeni: si viveva ancora come in una gabbia e all’estero non si poteva andare facilmente. In Italia arrivai per cercare Jerzy Grotowski che in quel periodo si trovava a Pontedera, in Toscana. Nel suo workcenter però non accettavano giovani trentenni come me (troppo vecchi!) e allora bussai alle porte dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica di Roma. E fu lì che mi aprirono una porticina. Da allora in poi la mia vita in Italia è sempre stata incentrata sul teatro: i miei maestri sono stati italiani, in Italia ho fatto ricerca, mi sono inventata un posto di lavoro a Milano, ecc. Il mio primo impatto con questo paese fu davvero bello: lo sognavo da tempo, come molti altri d’altronde, dato che l’Italia è il miraggio di tutti gli artisti dell’Est Europa. Appena arrivata a Roma ed entrata come libera studentessa straniera alla Silvio D’Amico, ho dovuto affrontare la faticosa realtà quotidiana degli extracomunitari e poi quella degli artisti, degli studenti, e poi ancora quella dei teatranti. Non mi dilungherò in questa sede su quel periodo della mia esperienza italiana ma, credetemi, è stata molto dura e ancora adesso, dopo tutti questi anni, mi ritrovo a meravigliarmi di me stessa: ma come ho fatto? Quale miracolo mi ha mantenuto così ottimista e positiva nell’andare sempre avanti sulla mia Via? Come ho potuto in tutti questi anni vivere solamente di teatro? Beh…la mia risposta a queste domande è che i miracoli nascono nel mistero e lì rimangono destinati a rimanere, avvolti nel mistero. La certezza, che ritengo mi abbia fatto superare tutto, è stata la fiducia in me stessa e nelle mie potenzialità nel lavoro teatrale; poi è stata la gente che ho incontrato in teatro a darmi ulteriore speranza, e non ultimi gli amici, tesori che ho rinsaldato in Italia.
Fin dall’inizio il mio unico progetto di vita era il teatro, non ho mai pensato ad altro, ragion per cui ho avuto non pochi dispiaceri nella vita privata. In Questura, a Roma come a Milano, venivo sempre incoraggiata a sposare un italiano, così sarebbero cessati tutti i miei problemi di documenti e permesso di soggiorno; io rispondevo immancabilmente con un sorriso, dicendo che ero già sposata al teatro. Le questure sono un argomento triste della mia esperienza italiana, perché è difficile scordare anni passati in fila a piangere, umiliata e impotente. A furia di sentirmi ripetere che mi dovevo sposare un italiano, così mi sarei sistemata, non mi sono mai sposata: la mia è stata una scelta di vita onesta, tra teatro e famiglia. Non avrei mai potuto fare le cose a metà e tutta la mia energia, a quell’epoca, era concentrata nel mio lavoro di regista e nella ricerca. Mi sono sradicata dal mio paese volontariamente e ho messo nuove radici in Italia. Amo questo paese, pur non avendo mai dimenticato le mie origini romene che amo profondamente. E sono proprio queste radici che, intrecciandosi armoniosamente con quelle italiane, hanno dato forma a una grande radice madre che mi sta rivelando la donna che sono oggi.


Maria Stefanache
(n. 2, febbraio 2013, anno III)
Nota bio-bibliografica
Nata nel 1962 a Iasi, Romania. Diplomata in regia teatrale. Vive e lavora in Italia dal 1992. Ha studiato regia con Andrea Camilleri all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico di Roma, dal 1992-94. Al Piccolo Teatro di Milano è stata assistente di regia alle ultime opere teatrali messe in scena da Giorgio Strehler, dal 1995 al 1997. Fonda e gestisce a Milano, dal 1995 al 2003, la Scuola Europea di Teatro e Regia. Nel gennaio 2000 è selezionata dall’Unione dei Teatri d’Europa, tra i giovani registi europei per il «corso pratico di aggiornamento sulla regia» con il regista Lev Dodin al Maly Drama Teatr di San Pietroburgo. Nel luglio 2000 è selezionata alla Biennale di Teatro di Venezia per l’Atelier di regia condotto da Eimuntas Nekrosius, regista lituano. Dal 1993 fino ad oggi mette in scena spettacoli su testi di: Shakespeare, Cechov, Esopo, Euripide, Sofocle, Aristofane, Molière, Seneca e Goldoni. A ottobre 2003 fa nascere a Milano il Centro Produzioni Teatrali e Documentari Video. Dal 2004 inizia il progetto di diffusione in Europa del suo nuovo metodo teatrale: «Memoria passata del personaggio», che aiuta i registi nel lavoro con gli attori nella costruzione del personaggio in scena. Attualmente il metodo è utilizzato in Teatro, nel Mondo Aziendale e Universitario. A novembre 2011 è uscito il libro: Memoria passata del personaggio, un metodo innovativo per il Teatro, Aziende e Università, Edizioni Uroboros, Milano 2011.
A completare il libro del metodo, è uscito anche il libro La Parola alla regia, Edizioni Uroboros, Milano 2011, dove si racconta il percorso evolutivo, lavorativo e creativo della regista fino ad arrivare al suo metodo.
Dal 2006 tiene dei corsi per managers nelle aziende milanesi e multinazionale all’estero, tra le quali: BEA Spa (Milano), ING (filiale romena), Global Maersk (Costanza, Romania), Raiffeisen Bank , Sortilemn Spa (Austria).
Dal 2011 all’Università Carlo Cattaneo di Varese (LIUC) tiene corsi di «Gestire la comunicazione», per studenti delle facoltà di Economia aziendale Ingegneria gestionale e Giurisprudenza. Nel suo studio-spazio di Milano opera come Coach, Personal trainer per imprenditori, avvocati, venditori, PR, registi, conferenzieri e periodicamente tiene atelier tecniche teatrali di comunicazione verbale e non verbale.
Attualmente è impegnata come docente collaboratore all’Università LIUC, dove tiene il corso per studenti «Gestire la comunicazione».
Nel campo documentaristico quest'anno prepara la realizzazione del film documentario La Nostra Milano, milanesi e i nuovi milanesi in collaborazione con la scuola civica di cinema, tv e nuovi media di Milano.
 

domingo, 6 de octubre de 2013

Squilibrio ambientale e cooperazione: i casi Gabon e Haiti.

Dr. Massimo Annibale Rossi
Per Vento di Terra, Proafrica e Amici della Terra Lombardia
Convegno “L’Ambiente e Noi” – 4 Ottobre 2013, Milano, Centro Raimondi

Vento di Terra ong e Proafrica operano in ambiti eterogenei dal punto di vista ambientale. Significativo a questo riguardo il confronto tra la situazione del Gambia, ricco di risorse naturali e di aree coltivabili e Haiti, isola caraibica ove il 95% delle foreste sono state abbattute.
In Gabon, ove Proafrica sostiene un progetto sanitario, l’emergenza riguarda la difesa della foresta, e con questa, dell’equilibrio idrogeologico del territorio. Il caso Gabon è emblematico delle potenzialità di un paese in grado di conservare le proprie riserve naturali, e beneficia di un significativo tasso di sviluppo. Tasso i cui proventi non sono tuttavia distribuiti equamente tra la popolazione, parte della quale rimane sotto la soglia di povertà. Il Gabon è comunque risultato in grado di assorbire flussi migratori provenienti dai paesi limitrofi.
Il Gabon sta attuando una politica di sfruttamento sostenibile delle sue immense risorse forestali. L’esportazione di legno appare una delle voci importanti del PIL nazionale, ed è attuata in maniera razionale. La foresta ricopre circa l'85% del territorio, nel quale abitano 70.000 scimpanzé (la maggior parte della popolazione mondiale), 45.000 gorilla e 60.000 elefanti della foresta. Circa il 12% del territorio è protetto e sono presenti 13 parchi nazionali.
L’intervento della cooperazione in Gabon è volto a incoraggiare la tutela della foresta, definendo un modello sostenibile, esportabile negli altri paesi dell’Africa equatoriale. Si tratta inoltre di sostenere le comunità locali nella rivendicazione dei propri diritti e di limitare l’influenza delle multinazionali, attratte dalle ingenti riserve di gas e petrolio presenti sulla costa.
Il caso Haiti si pone al lato opposto del diagramma delle modalità di utilizzo delle risorse naturali. Le foto satellitari dell’isola Hispaniola, evidenziano un contrasto netto tra i territori appartenenti alla Repubblica di Haiti e quella Domenicana. Haiti ha infatti distrutto il 95% del proprio patrimonio forestale. Si tratta di una situazione limite, aggravata dagli effetti del devastante sisma del 2010 e che priva la popolazione locale di gran parte del proprio sostentamento. Il suolo appartenente ai terreni disboscati subisce infatti una rapida erosione a causa delle piogge torrenziali equatoriali, diminuendo in breve la propria produttività.
Il disastro ambientale è dovuto alla mancanza di politiche di salvaguardia degli ultimi decenni, alla situazione di instabilità politica e allo stato di indigenza in cui versa la maggior parte della popolazione. Se gli attuali interventi sono orientati alla ricostruzione, in prospettiva la cooperazione si dovrà porre l’obiettivo di favorire la riforestazione. Obiettivo complesso e di lungo periodo, e in ogni caso da perseguire tenendo conto le enormi difficoltà e il peso delle tre variabili principali.
L’opera dell’uomo non potrà rimediare al disastro arrecato all’ecosistema dell’isola, ricostruire ciò che la natura ha impiegato millenni realizzare. Potrà tuttavia sperimentare modelli replicabili, che permettano una progressiva ripresa della flora e la lenta ricostituzione di un suolo produttivo.
Vento di Terra ong è intervenuta ad Haiti dopo il sisma ed opera a favore delle popolazioni del Distretto di Acul du Nord. Si tratta della parte settentrionale dell’isola, poco colpita dal terremoto, ma che ha dovuto assorbire un flusso massiccio di profughi provenienti dalla capitale. Il progetto mira a migliorare la dieta base, ed in particolare dei minori, mediante l’implementazione di orti comunitari. In prospettiva intende inoltre favorire la costituzione di un consorzio locale, in grado di aumentare l’autosussistenza alimentare dell’area e di rappresentare un modello replicabile. Grazie al Mouvement paysan du Acul du nord, aderente alla Via campesina, è stato possibile formare all’agricoltura organica le famiglie aderenti al progetto ed introdurre culture innovative.

Expo dei Popoli: una voce per la società civile


Chiara Pirovano, WWF Italia/Expo dei Popoli

Convegno “L’Ambiente e Noi” – 4 Ottobre 2013, Milano, Centro Raimondi

Il Comitato Expo dei Popoli è un coordinamento formato da circa 60 tra Ong, associazioni, reti della società civile italiana e internazionale che lavorano insieme per la realizzazione del Forum dei Popoli in programma per il 2015 a Milano, in concomitanza con gli eventi dell’esposizione universale – Expo 2015.
Il Comitato nasce da un percorso avviato nel marzo del 2009, quando varie associazioni iniziarono a discutere nel merito i contenuti dell’EXPO2015; da allora molte altre organizzazioni hanno portato al tavolo il loro contributo, arricchendo una riflessione che via, via è andata sempre più definendosi ma che resta un cantiere aperto al confronto con quanti accetteranno la sfida dei contenuti di EXPO2015. Riteniamo infatti che il tema centrale di Expo Nutrire il pianeta energia per la vita” necessita di considerare prima di tutto la voce della società civile tutta che da molti anni riflette sulle analisi e sulle soluzioni. Crediamo infatti che EXPO 2015, per i temi proposti,  possa rappresentare un’occasione importante per far emergere le condizioni culturali, sociali, economiche, tecnologiche, infine politiche, per costruire un futuro più sostenibile ed equo per tutti. Molto dipenderà, ovviamente, da come sarà organizzato e realizzato l’evento.
Vorremmo prima di tutto condividere con le istituzioni promotrici e gli organizzatori, ma anche con i rappresentanti dei governi che stanno aderendo all’evento del 2015 e la comunità scientifica internazionale, il senso di forte responsabilità che viene dalla consapevolezza di non essere riusciti – fino ad oggi - a garantire una vita almeno decorosa a quel miliardo di persone che vive in condizioni di assoluta precarietà, così come al crescente e preoccupante numero di nuovi poveri che sperimentano la miseria nelle periferie urbane, nei Paesi più vulnerabili come in quelli convenzionalmente inclusi tra i più industrializzati. Solo facendo nostra tale responsabilità e aprendoci ad un serio confronto potremo onorare i temi e i contenuti espressi nel titolo di EXPO 2015
Nel mondo la popolazione urbana ha superato, per la prima volta, quella rurale; la competizione sulla destinazione d’uso dei suoli, più incisivi che mai a causa delle speculazioni, rendono ancora più difficile la condizione dei poveri della Terra. D’altra parte, la crisi alimentare, aggravatasi ripetutamente in questi ultimi anni, nonostante l’avanzamento tecnologico, ha dimostrato la debolezza intrinseca di un sistema globalizzato, basato sulle filiere lunghe e oggetto di speculazioni finanziarie e di competizione rispetto ad altri utilizzi (es. le biomasse). Il cibo, lungi dall’essere un diritto garantito universalmente, è considerato solo una merce da cui trarre più profitto possibile. Allo stesso tempo aumenta il fabbisogno energetico, mentre il crescente ricorso ai combustibili fossili è all’origine dei cambiamenti climatici e di tensioni internazionali per il controllo delle risorse, che spesso sfociamno in gravi conflitti armati.
Nel nuovo rapporto al Club di Roma di Jorgen Randers, “Scenari globali per i prossimi quarant’anni – 2052” (edito da Edizioni Ambiente e WWF) emerge chiaramente come i prossimi anni saranno fondamentali per un cambiamento di paradigma complessivo (non solo ambientale ma anche sociale, politico ed economico) che permetta entro il prossimo secolo di raggiungere la sostenibilità (in quanto scelta obbligata perché le risorse del Pianeta sono “finite”) in una modalità che sia il meno “dolorosa” per tutti.
L’EXPO 2015 non sarà ovviamente il traguardo finale di questo percorso ma potrebbe essere almeno una tappa importante, a patto che i temi proposti all’attenzione dei partecipanti siano affrontati con coerenza e attenzione. Vorremmo infatti che la coincidenza tra EXPO 2015 e scadenza dei Millennium Development Goals (2015) venisse colta attraverso un momento di verifica e di riflessione condiviso tra istituzioni internazionali, governi e società civile mondiale, con l’obiettivo di delinare le strategie future in tema di cooperazione alla sviluppo sostenibile e nuovi approcci alla lotta alla povertà che tengano presente la logica della Sovranità Alimentare intesa come “il diritto dei popoli ad alimenti nutritivi e culturalmente adeguati, accessibili, prodotti in forma sostenibile ed ecologica, ed anche il diritto di poter decidere il proprio sistema alimentare e produttivo”.
Attraverso il Manifesto per l’Expo dei Popoli (v. www.expodeipopoli.it, disponibile anche in inglese e in francese), chiediamo, di conseguenza, che tutti coloro che hanno responsabilità dirette e poteri decisionali sull’EXPO2015 esplicitino il loro impegno per la realizzazione di un Forum “EXPO dei POPOLI”, cui partecipino i rappresentanti delle associazioni e dei network della società civile per discutere con tutti gli attori sociali, economici, scientifici e politici delle strategie e delle scelte necessarie per proseguire il cammino verso forme di sviluppo equo e sostenibile.
Un obiettivo per cui riteniamo necessario promuovere, da qui al 2015 iniziative, relazioni e adesioni da tutto il mondo per coinvolgere il maggior numero di voci dal territorio e dalle reti attualmente presenti. Il percorso verso EXPO 2015 dovrebbe portare alla luce e far circolare le buone pratiche realizzate a livello locale e globale, molte delle quali ormai entrate a far parte della letteretaura e della casistica internazionale, quali l’approccio agro-ecologico e - le soluzioni locali messe in campo dai piccoli produttori e dai contadini organizzati in reti, ad esempio in Italia in questi anni: i mercati contadini; la ristorazione a chilometro zero; l’agricoltura biologica; i gruppi di acquisto e i distretti di economia solidale; il commercio equo e biologico di prodotti locali (a cura di cooperative sociali e associazioni ad esempio su terreni sottratti alle mafie); la realizzazione di orti comunitari, domestici o scolastici; i percorsi educativi, in ambito scolastico, sul diritto al cibo e una corretta alimentazione; la salvaguardia e tutela della biodiversità tramite la difesa e la diffusione di specie tradizionali e autoctone; le campagne per la riduzione del packaging e degli scarti.
Per concludere, Milano – città europea che mira ad un rinnovamento – dovrebbe fare del percorso verso EXPO 2015 e del seguito di quell’evento una grande occasione per conseguire l’ambizioso obiettivo di rappresentare e raccontare come concretamente e visibilmente si possa “Nutrire il Pianeta” garantendo “Energia per la Vita”, proponendosi e propendendo il nostro Paese per un ruolo guida nella promozione dei necessari cambiamenti degli stili di vita, dei modelli di produzione, di consumo e di mobilità, in una nuova prospettiva di equilibrio tra urbanizzazione e agricoltura; produzione di cibo e rispetto della natura, valorizzando il ruolo della cooperazione tra popoli e dell’impegno sui temi della sostenibilità ambientale.
In questo percorso, il supporto e il coinvolgimento di tutte le comunità, anche e soprattutto quelle dei migranti e le comunità straniere in generale hanno un ruolo di primo piano in un’ottica di scambio e di integrazione delle pratiche esistenti e dei saperi di cui sono portatori. Si ritiene infatti che le visioni di “natura” e di “socialità” di questi attori della città possano rappresentare una fonte di confronto e di crescita culturale per tutti.
Ringraziamo quindi il Centro Raimondi per l’invito e a nostra volta invitiamo tutti a partecipare al percorso di Expo dei Popoli, le occasioni sono numerose, anche nelle prossime settimane:
-      11 ottobre: “Quanta natura sprechiamo in Italia” – WWF Italia (c/o Università Bocconi)
-      17 ottobre (dalle 16.30): Evento “Hungry for Rights”, presentazione della ricerca sulle buone pratiche e lancio della comunità virtuale (Mani Tese, ACRACCS e Legambiente) E Presentazione del libro "La terra che vogliamo" di Beppe Croce (Acquario civico di Milano – sala Vitman)
-      19 ottobre: festival Expo dei Popoli (Fabbrica del Vapore, sede da confermare).

Migranti che vengono dal Mare



Dice Valeria Pini, che i migranti “Fuggono dalle guerre, dalle dittature e dalla povertà. Donne, uomini e bambini affrontano lunghi viaggi in mare alla ricerca di un futuro. Nel 2013 a Lampedusa e Pantelleria ne sono arrivati 11.686. Altri sono sbarcati in altre regioni come la Calabria e la Puglia. Scappano nella maggior parte dei casi da dittature o da conflitti. Nei primi mesi del 2013 i migranti sbarcati in Italia sono arrivati in gran parte da Siria, Eritrea, Somalia ed Egitto. Ecco i dati sul numero di persone e sulla situazione politica dei paesi dai quali provengono.”
Siria
7500 siriani sbarcati in Italia. Da gennaio 2013, 7.500 siriani hanno lasciato un paese dilaniato dalla guerra fra le forze di opposizione e i sostenitori del regime del presidente al-Assad.
Eritrea
 7651.  Il 30 settembre erano 7500 gli eritrei sbarcati in Italia. A questi si aggiungono i 151 tratti in salvo ieri. Il paese è governato da un regime dove sono stati registrati numerosi episodi di violazione dei diritti umani. La libertà di espressione e di associazione è fortemente limitata. Il servizio militare è obbligatorio e spesso esteso a tempo indeterminato.
Somalia
 3000.  Tremila somali sono sbarcati in Italia da gennaio. In Somalia è in atto un conflitto tra forze filo governative e il gruppo armato islamista al-Shabab. Il paese soffre anche per una carestia, considerata una delle peggiori degli ultimi 25 anni.
Egitto
 2500.  Le tensioni fra i sostenitori del presidente deposto Mohammed Morsi e i suoi oppositori. Gli scontri hanno spinto 2500 egiziani a lasciare il paese e ad affrontare il lungo viaggio in mare per arrivare in Italia.
Nigeria
 1700.  Circa 1.700 nigeriani sono sbarcati in Italia. La Nigeria si divide tra un nord a maggioranza musulmana e un sud a maggioranza cristiana. Fra i problemi quello della discriminazione religiosa. Negli ultimi tre anni numerose le vittime fra i civili degli estremisti islamici di Boko Haram.
Pakistan
1300.  In tutto 1300 pachistani sono approdati sulle coste italiane da gennaio alla fine di settembre. Il Pakistan è un paese con forti restrizioni in ambito politico e civile. Limitata anche la libertà di stampa.
Gambia
1200.  Numerose anche le persone arrivate dalla Gambia: 1200. Una fuga dovuta alla situazione politica nel paese e alle violazioni dei diritti umani nei confronti delle opposizioni e dei giornalisti. Circa il 56% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà.
Mali
800.  In Mali è in corso una guerra a seguito del colpo di stato del marzo 2012 e dell'offensiva del Movimento Nazionale di Liberazione dell'Azawad e degli islamisti. Da gennaio a settembre 2013 circa 800 persone hanno scelto l'Italia come meta.
Afghanistan
800. Ottocento afghani sono sbarcati in Italia dall'inizio dell'anno. Il paese vive in un clima di tensione da anni anche per i numerosi gli attacchi ai civili da parte dei talebani. Nei primi otto mesi del 2013 le vittime civili in sono aumentate del 16% a 2.533 unità rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso.
Senegal
800. Ottocento senegalesi sono arrivati in Italia da gennaio a settembre. In Senegal quest’anno, soprattutto nel periodo pre elettorale a gennaio e febbraio, si sono registrate diverse violazioni dei diritti umani. Un eccessivo uso della forza ha portato alla morte di alcuni manifestanti.
Sudan
200. Il paese è travolto da ondate di protesta contro il presidente Omar Hassan al-Bashir Numerosi i casi di violazioni della libertà di espressione. Bashir è ricercato dalla Corte penale internazionale per crimini di guerra in Darfur.
Una realtà drammatica, che bisogna decisione politiche del Europa d’aiuto umanitario per riuscire a risolvere un problema dell’immigrazione.

martes, 1 de octubre de 2013

Un viaggio indimenticabile nella mia terra Albania


Un paese così vicino, così lontano, da scoprire, e un incontro straordinario.

Ho trascorso le vacanze di agosto in Albania, la mia terra di provenienza, e ho realizzato un sogno.
Il mio sogno da ragazzo, da insegnante, da immigrato, ora da cittadino italiano e da milanese, ed anche da rappresentante dell’Associazione culturale di amicizia italo-albanese “Albania e Futuro”, era di incontrare Ismail Kadaré, il più grande scrittore albanese, e magari di averlo come ospite in un evento a Milano. 
Una volta durante un incontro con il nostro Dario Fo (un premio Nobel della letteratura), avevamo parlato di questo mio desiderio e lui con molta semplicità mi aveva detto “Magari ci riuscirai e io sarei felice di stare accanto a lui “. E poi in un altro incontro dell’anno scorso con l’allora Assessore della Cultura del Comune di Milano, l’arch. Stefano Boeri mi diceva “Se riuscite a portare Kadaré a Milano, non farete un regalo solo alla vostra comunità, ma senza dubbio un grande regalo  anche ai milanesi”.
Tornato dalle vacanze, come tutti, ho voglia di raccontare le nostre ferie (magari prossimamente vi parlerò delle splendide spiagge bianche, dei magnifici monasteri, dei musei e della gastronomia locale).
Ma questa volta io voglio raccontare a tutti - colleghi, amici e simpatizzanti - l’incontro con il grande scrittore albanese Ismail Kadaré, presso la sua villa estiva in Albania (Mali Robit), con sua moglie Helena Kadaré e i suoi familiari. Era 8 l’agosto e insieme con la mia moglie avevamo appuntamento con il proprietario della casa editrice “Onufri”, il sig. Bujar Hudhri, che ha l’esclusiva per le sue pubblicazioni in Albania. Voglio ringraziarlo pubblicamente perché tutto questo è successo grazie a lui. Un incontro familiare. Kadaré era curioso di sapere come andavano le cose con la nostra comunità, il rapporto di convivenza con gli italiani e con L’Italia. La nostra conversazione è diventata più familiare anche per la presenza della figlia, del genero e dei nipotini. Abbiamo gustato insieme una buonissima anguria fresca e dopo sono stato molto lieto di bere un caffè turco fatto apposta dalla signora Helena. Abbiamo fatto delle foto e avuto in regalo dei libri da parte di Kadaré (uno per me in albanese) e “I tamburi della pioggia” in italiano per mia moglie. Una bella sorpresa è stata anche il libro di Helena Kadaré (“Tempo Insufficiente”) con una dedica per noi due e l’auspicio di salutarci prossimamente a Milano. Un pomeriggio straordinario immortalato dalla foto insieme che vi allego.
Tanti amici albanesi quando ho raccontato questo incontro non ci credevano e anche un nuovo Ministro della Repubblica d’Albania si è complimentato e mi ha scritto “Incontrare Kadaré è un evento“.
Invece ho notato che tanti colleghi, ai quali io raccontavo con tanto orgoglio e tanto entusiasmo, non conoscono questo scrittore. Ci tengo quindi, magari tramite questo articolo, di portare a conoscenza e di farvi scoprire questo grande vincitore di tanti premi nel mondo, da sempre candidato al premio Nobel per la letteratura.
Due anni fa circa il mio amico e giornalista del Corriere della Sera, Raffaele Oriani, mi chiedeva cosa leggere per capire meglio l’argomento del Kanun, il più importante codice consuetudinario albanese, creatosi nel corso dei secoli, che ha ancora valore  in alcune zone montane dell’Albania del nord.
Non ho esitato un attimo e gli ho consigliato ”Aprile Spezzato“, che lui non solo ha apprezzato tantissimo, ma subito dopo nell’inserto “Io Donna” del Corriere della Sera scriveva, a proposito dell’uscita del libro “La figlia di Agamennone”, Longanesi, 2007: “Quando si dice un intellettuale europeo. E’ albanese, scrive in francese, per raccontare Tirana ricorre ai miti greci dell’inglese Robert Graves. Basterebbe questo libretto per capire perché Ismail Kadaré è da anni candidato al premio Nobel. La storia è cupa, lui la illumina con stile asciutto e partecipe. Ma chi è Kadarè ? poeta, saggista e romanziere, è il più grande scrittore albanese contemporaneo e uno dei più noti scrittori europei a livello mondiale. E’ nato nel 1936 ad Argirocastro, nel sud dell’Albania. Perfeziona all’Istituto Maksim Gor’kij di Mosca, vivaio di scrittori e critici, gli studi iniziati alla Facoltà di Lettere di Tirana. Nel 1963 dà alle stampe il primo romanzo “Il generale dell’armata morta”, grottesco viaggio nella follia della guerra, grazie al quale si afferma sulla scena letteraria, anche oltre i confini albanesi, in particolar modo in Francia che diventa la sua casa. La sua fama si consolida negli anni settanta e ottanta con una serie di romanzi (tra cui “I tamburi della Pioggia”, “La città di pietra”, “Il palazzo dei Sogni”), straordinarie narrazioni epiche, allegorie della storia tragica dell’identità albanese, sempre dilaniata tra l’Occidente e l’Oriente. Il regime di Tirana esercita sulle sue opere una censura sempre più severa. Consapevole che “la dittatura è incompatibile con la letteratura“ nel 1990 Kadaré chiede asilo politico in Francia, e segue l’evoluzione e le vicissitudini del suo Paese forte di una completa libertà di espressione. Durante la guerra in Kosovo pubblica “Tre canti funebri per il Kosovo”, libro in cui risale alle origini del perenne conflitto tra i popoli balcanici. Ha vinto tantissimi premi nazionali e internazionali. Nel 1993 vince il Premio Mediterraneo per stranieri con la “Pyramide”. Dal 1996 è membro associato a vita dell’Académie des sciences morales e politiques, dove ha preso il posto che era stato di Karl Popper. Nel 2005 è stato il primo vincitore del “ Man Booker International Prize “in qualità di scrittore universale nella tradizione dei narratori che arrivano da Omero”, mentre nel 2009 vince il premio “Principe delle Asturie per la letteratura“, premiato dal Principe Felipe in Spagna . Nello stesso anno gli è stata conferita la Laurea Honoris Causa in Scienze della Comunicazione Sociale e Istituzionale dall’Università di Palermo, voluto fortemente dagli arbereshe (albanesi che vivono da secoli in Sicilia e in altre regioni d’Italia), di Piana degli Albanesi. E’ stato più volte candidato alla selezione per il Premio Nobel ed è membro d’onore all’Accademia Francese. Trascorre la vita fra Tirana e Parigi e in questa primavera è stato voluto fortemente da tutti gli schieramenti politici per diventare Presidente della Repubblica d’Albania. Ma lui con molta semplicità ha ringraziato tutti e ha risposto “Non sono capace di fare il politico “. Durante il mese di settembre è stato ricevuto dalle più alte cariche dello stato in Kosovo e ha ricevuto il primo premio “Ali Podrimja“, un grande scrittore e amico di Kadaré, che è scomparso un anno fa.
Concludo con l’incontro affettuoso che ho avuto durante la presentazione di “Il Bacio del Pane”, l’11 settembre scorso nello spazio Eventi di Mondadori Duomo a Milano, con Carmine Abate, vincitore del premio Campiello, nato a Carfizzi, un paese arberesh della Calabria. Ho avuto il piacere di scambiare qualche parola con lui e gli ho parlato del mio incontro con Ismail, e del nostro desiderio di averlo a Milano e lui mi ha risposto “Magari sarebbe una cosa stupenda: noi davanti a lui siamo dei provinciali …“. Così scriveva di recente anche il giornalista Richard Eder, in un articolo di New York Times “siamo provinciali di fronte a Ismail Kadaré“.
Cari amici, simpatizzanti, colleghi e colleghe non mi rimane altro che augurarvi buona lettura e ricordarvi che le opere di Ismail Kadaré sono pubblicate in Italia da Longanesi.  

Preparato da
Astrit Cela

Milano 27. 09. 2013


Carissimi amici/amiche,

Vorrei ringraziare con tutto il cuore  i partecipanti all’Assemblea di Costituzione dell’Associazione "Città Mondo", che ha deciso in un momento di crisi economica, di costituirsi portavoce di varie associazione appartenenti a comunità di cultura, origine, religione ed esperienze di vita diversi ma con una comune concezione del mondo che crede, quando si pensa al futuro, in un cammino collettivo da intraprendere uniti.

Sono convinto che insieme si sia deciso e voluto consolidare un nuovo processo di interculturalità, creando un'interazione dinamica tra tutte le comunità partecipanti attraverso il linguaggio di una nuova identità di reciproca condivisione e convivenza, raggiunto grazie al confronto, cercando di capire i vari meccanismi sociali e culturali e proponendo, cosi, nuove alternative

Mi auguro grazie alla fiducia dei nostri sostenitori e dei nostri elettori, che il Consiglio Direttivo,  si impegnerà affinché il progetto “Città Mondo” possa realizzarsi formando una sola comunità dal nome, appunto "Città Mondo".

Noi Assumiamo questo incarico insieme a tutti Voi: Fadonougbo Koffi Michel (Presidente), Marian Ismail Mohamed, Ainom Maricos. Eleuterio Ruiz Pèrez, Elizabeth Rodriguez, Roger Richard Anaya Hidalgo e Lucia Graciela Rojas. Dava Gjoka, Astrit Cela, Vasenka Leka Rangu, Luca Tripeni Zanforlin. Md Abdullah Al Mamun, Ana Bel Mayo, Daoud Ismail Issa Ismail e Suping Huang.
Un grazie di cuore!
Eleuterio Ruiz
Milano. 28.09.2013